Cenni storici e tecnici

Pieter Bruegel - Danza contadina 1567, Kunsthistosisches Museum, Vienna
Pieter Bruegel – Danza contadina 1567, Kunsthistosisches Museum, Vienna

Lo zampognaro è una figura tradizionale del Meridione, tipicamente associato al periodo Natalizio, originario degli ambienti pastorali. Non a caso, l’origine della figura e dello strumento, la zampogna, risale a Pan, figura mitologica di aspetto caprino e dio della montagna presso i Greci. Simboleggia, nell’immaginario collettivo, la vita agreste, patrono del riposo dei pastori e delle mandrie e amante della musica. Al suo flauto, a canne riunite, poi innestate in una sacca di pelle, l’otre, si fa risalire la moderna zampogna, conosciuta presso i romani con il nome di tibia utricularis e oggi capostipite di una famiglia di strumenti diffusi in Europa, Asia e, in parte, Africa. In Italia la zampogna è largamente diffusa nel Meridione e nel Lazio. Nel Molise è strumento regionale: intorno ad esso ruotano tutte le altre tradizioni e usanze paesane; basti pensare che nella piazza di uno dei paesini del Molise, Scapoli, il monumento più importante per i cittadini non è quello dedicato ai caduti, ma quello dello zampognaro.

Il maestro nel ruolo di pipitaro che indossa il costume tipico
Il maestro nel ruolo di pipitaro che indossa il costume tipico

In Calabria la zona in cui più si è diffusa e affermata come strumento popolare è quella delle tre Serre e dei paesini ivi compresi: Spadola, Vallelonga, Serra San Bruno, Brognaturo, ecc…, usata dai pastori come richiamo per gli animali e per l’intrattenimento durante le transumanze o le migrazioni stagionali e nelle feste di paese, nelle sagre e durante novene. In queste occasioni la zampogna si accompagna ad un altro strumento, la pipita, aerofono in legno con imboccatura ad ancia, anch’esso artigianale. Le feste più famose e in cui più facilmente si può incontrare un “duo zampognaro” sono la festa di San Rocco del sedici di agosto e la novena della Madonna della Consolata di Spadola, in cui si suonano lodi, inni, litanie e marcette, indossando i costumi tradizionali. Generalmente, il costume da zampognaro ha le caratteristiche dell’abbigliamento da pastore: si compone di pantaloni, scarponi da montagna con scaldamuscoli di lana (in alcune zone, come nel Molise, gli zampognari calzano le cioce, babbucce di pelle), gilet fatto con il vello di una capra o lungo mantello (tradizione vuole che sia il pipitaro, colui che suona la pipita, ad indossare il mantello, mentre allo zampognaro spetta il gilet), cappello di feltro e giacca di fustagno. Durante la novena Natalizia è tradizione che dalla montagna gli zampognari scendano in paese per annunciare la nascita di Cristo suonando ninnananne e nenie. Come nel presepe, in cui tradizionalmente due zampognari suonano presso la capanna.

Spesso si è favoleggiato sulla figura dello zampognaro, per la sua natura allegra, festaiola, anche chiusa e brusca nei confronti dell’estraneo, con cui è restio a condividere il sapere, che si tramanda in via orale di padre in figlio per intere generazioni. Il padre insegna al figlio l’arte della costruzione, gli insegna a suonare gli strumenti, gli tramanda le musiche popolari e i riti che accompagnano periodicamente la scelta dei materiali e la stagionatura e, al momento giusto, gli lascia gli attrezzi e gli strumenti, gli cede il posto nel mestiere. Queste famiglia centenarie divengono veri e propri simboli nell’ambiente e spesso capita che durante i raduni si incontrino generazioni diverse della stessa famiglia. È il caso, per esempio, della famiglia Tassone, il cui membro più illustre, Bruno detto u nijiru, agli inizi del novecento era famoso in tutta l’area del serrese. Il suo tornio, di più di cento anni, e alcuni dei suoi strumenti sono stati ereditati e vengono usati dal figlio, Michele, anch’egli zampognaro.

Il maestro e suo genero, Salvatore: una tradizione di famiglia
Il maestro e suo genero, Salvatore: una tradizione di famiglia

L’attività di zampognaro diventa anche fonte di sostentamento, anche se non unica, per le famiglia di duratura tradizione. I servizi resi dai suonatori durante le feste vengono pagati, sebbene in passato si usasse, in mancanza di denaro, dar loro beni di prima necessità: formaggio, vino e olio. Anche per questo motivo tra le famiglia esiste un sentimento di rivalità, perché nei periodi di festa si “contendono il mestiere”, così come nella vendita agli estranei che collezionano questi strumenti, senza tuttavia imparare a suonarli. Questo proprio perché ai membri di altre famiglia e a maggior ragione ai “forestieri” si insegna difficilmente l’arte o si forniscono informazioni sui segreti.

Il maestro insieme a Vincenzo Grenci, amico artigiano, dopo un'esibizione
Il maestro insieme a Vincenzo Grenci, amico artigiano, dopo un’esibizione

Da qualche anno a questa parte è possibile incontrare e ascoltare gli zampognari della Calabria nel Raduno Zampognaro, promosso dal Circolo Culturale Il Brigante (sul sito del quale è possibile vedere le foto dell’evento) che si tiene ogni anno in località diverse e durante il quale i suonatori si scambiano notizie e tecniche, confrontano gli strumenti, che per l’occasione vengono cerati, lucidati e preparati a festa. Al raduno partecipano, però, non solo suonatori e artigiani, ma anche appassioanti, semplici turisti e antropologi, come il prof. Antonello Ricci che è professore associato presso il dipartimento di Antropologia dell’Università degli studi Sapienza di Roma.

 

Il laboratorio del maestro
Il laboratorio del maestro

Strutturalmente le zampogne sono costituite da quattro o cinque canne di legno unite fra loro da un ceppo, testale, dello stesso materiale. Hanno diversa lunghezza e suonano in diverse tonalità, ma nella zampogna a cinque canne tre di esse emettono sempre lo stesso suono e vengono chiamate bordoni (cardiu, masculu e trumbuni) , mentre le altre due sono melodiche (destra emanca). Il testale, poi, è innestato ad un’otre ricavata dalla pelle di una capra sfilata intera e rovesciata. Al collo viene legata la zampogna, ad una zampa viene applicato un gonfiatore (gunchiaturi) mentre le altre vengono chiuse o annodate. L’aria entra nel gonfiatore e si immagazzina nell’otre e la pressione esercitata su di essa dall’esecutore fa suonare lo strumento. L’intera costruzione richiede un mese di lavoro completamente artigianale e gli strumenti stessi con cui la zampogna viene costruita sono preparati a mano. Ogni costruttore, infatti, prepara i propri strumenti con i materiali che ha in casa e non li cede a nessuno, per nessun motivo al mondo. Nel complesso è un lavoro di precisione, molto complicato per i non “addetti al mestiere”. Una volta costruita, poi, la zampogna ha bisogno di continue manutenzioni, di accordature molto frequenti, anche giornaliere nei periodi di grande caldo in cui il legno e le ance delle canne si dilatano. Lo strumento viene perciò accordato regolarmente e questo procedimento avviene sempre ad orecchio, senza l’ausilio di strumenti elettronici di precisione per stabilire le giuste tonalità. Il che è senza dubbio straordinario, considerando che lo zampognaro, di solito, non riceve alcun tipo di educazione musicale, escludendo quella impartitagli dal padre e dal nonno. Nella tradizione, tutto ciò che riguarda la costruzione e l’esecuzione ha natura empirica. E tuttavia non è meno efficace di una preparazione cosiddetta professionale.

Sono molti i collezionisti che frequentano le botteghe di questi artigiani e comprano esemplari di gran pregio anche per migliaia di euro. Ma pochi di loro si preoccupano di ricevere un’adeguata preparazione. Tentano di suonarle, ma nella maggior parte dei casi falliscono al primo tentativo. Così come ai successivi. La quantità d’aria necessaria a riempire l’otre è certo superiore a quella sufficiente a far vibrare le ance delle ciaramelle. Basterebbe a far diventare cianotico un uomo adulto. Almeno finché la capacità polmonare non sarà diventata sufficiente, con un duro e prolungato allenamento.

Il suo amico e maestro Michele Tassone
Michele Tassone, amico carissimo e maestro da cui Pasquale Lorenzo ha appreso l’antica arte della costruzione delle zampogne

Forse è anche per questo che, al di fuori dell’ambiente zampognaro propriamente detto, sono in pochi a poter dire di conoscere davvero questi strumenti e coloro che li costruiscono e suonano. I collezionisti, anche quelli più appassionati, si scoraggiano di fronte alle difficoltà tecniche e gli strumenti si trasformano in “cimeli da appendere al chiodo”. Per di più, gli incontri con gli artigiani si limitano a quelli necessari all’acquisto e solo a pochi compratori essi sono disposti effettivamente ad insegnare. Esistono incontri aperti al pubblico, naturalmente, e molti gruppi musicali calabresi sono diventati “etnici”, cioè inseriscono strumenti popolari, zampogne e pipite, nel proprio corpus strumentale, ma la tradizione sta lentamente perdendo terreno. L’ambiente zampognaro si sta gradualmente chiudendo in se stesso, diventa sempre più difficile assistere ad una delle loro esecuzioni a meno di recarsi proprio nella zona del serrese, dove la tradizione si è mantenuta viva. Tuttavia di recente molti più appassionati si avvicinano agli strumenti popolari calabresi. Per semplice interesse o addirittura per imparare il mestiere e si riuniscono intorno alle figure che più di altre sono conosciute e si aprono a questo scambio culturale. Giovani inesperti ma anche professori universitari e maestri di musica, professionisti, “forestieri”. Il professor Antonello Ricci dell’università La Sapienza di Roma non perde nessuno dei raduni che da cinque o sei anni si svolgono, in località diverse, con zampognari provenienti da tutto l’area del serrese. Il maestro Pasquale Lorenzo da Michele Tassone ha imparato a costruire e suonare zampogne e ciaramelle e il suo studio-laboratorio è spesso frequentato da giovani volenterosi che, come lui alcuni anni fa, voglio conoscere quanto più possibile questa ricca tradizione. E così molte altre personalità della Calabria professionista si interessano al problema di mantenere viva la tradizione musicale e con essa la cultura calabrese. Si spera che anche gli enti pubblici si interessino al “fenomeno zampognaro”, perché venga sostenuto non solo economicamente, ma soprattutto incentivando eventuali scuole aperte ad appassionati e giovani.

Bibliografia
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Autori Vari, Gli strumenti musicali – Di ogni epoca, di ogni paese, Milano, 1977
Antonello Ricci, La capra che suona, immagini e suoni della musica popolare in Calabria, ed. Squilibri, Roma, 2001
Autori Vari, Mete d’Elite, Bologna, 2004
Corrado L’Andolina, Ayay!, Incursioni nelle Tarantelle calabresi e dintorni, 2008 [di cui è scaricabile un estratto qui]